Alla ricerca dei campioni industriali europei

federico bosco
4 min readJan 28, 2020

Dopo soli 10 giorni dal suo insediamento la nuova Commissione europea ha aperto le porte a una revisione delle regole della concorrenza, rispondendo così alla richiesta presentata in varie occasioni da Francia e Germania per facilitare la nascita di campioni industriali tutti europei, in grado di competere con i concorrenti di Cina e Stati Uniti. La decisione segna un importante raffreddamento nella fiducia nella dottrina della massima concorrenza e de libero mercato, e conferma la volontà di Ursula Von der Leyen di dare seguito alla promessa di una Commissione che difenda gli interessi strategici dell’UE. Il dossier è fondamentale per il futuro della politica comunitaria.

All’epoca del Trattato di Aquisgrana — l’accordo franco-tedesco sottoscritto da Merkel e Macron — passò quasi inosservata l’appendice del Manifesto franco-tedesco per una politica industriale adatta al XXI secolo, un documento in cui veniva messo nero su bianco la volontà di rendere le aziende europee (in primis francesi e tedesche) capaci di competere con successo, dentro e fuori la UE, in tutti i settori industriali della competizione globale.

L’obiettivo del manifesto è favorire la creazione di grandi aziende europee in grado di reggere la concorrenza delle multinazionali non europee sostenute (direttamente e indirettamente) dagli apparati statali, in particolare dalle grandi potenze continentali, quindi: Cina, e Stati Uniti su tutti. All’origine del documento presentato da Parigi e Berlino c’è il veto posto dalla Commissione europea al progetto di fusione Alstom-Siemens, l’ambizione di creare un gruppo ferroviario mondiale soffocata dalla solerte applicazione di Margrethe Vestager delle norme antitrust europee. L’idea franco-tedesca era creare un campione europeo capace di tenere testa al colosso statale cinese CRRC, il maggior produttore di veicoli ferroviari del mondo.

Capire gli obiettivi che si pongono Parigi e Berlino è importante per interpretare meglio le cose che stanno succedendo oggi (vedi la fusione FCA-Renault e l’indagine aperta su Fincantieri-CdA) e quelle che succederanno domani. È significativo che a dare il via alla revisione di un approccio ventennale sia stata proprio Vestager, la stessa donna (danese, di orientamento liberale) che bloccò proprio quell’ambiziosa fusione. L’obiettivo è fare in modo che la UE sia in grado di difendere i suoi interessi economico-strategici dalla politica assertiva dei giganti dell’high-tech di Stati Uniti e Cina L’autorizzazione agli aiuti di Stato per lo sviluppo delle batterie per le auto elettriche, l’indagine sulla portabilità dei dati e lo studio per una definizione precisa delle linee guida per le green-policy sono passi in questa direzione.

Il commissario alla concorrenza, precedentemente assegnato alla nordica e anseatica Danimarca, è stato assegnato alla più dirigista Francia, con un portafoglio di competenze particolarmente rinforzato per l’occasione. Per chi si chiedeva come avrebbero fatto i francesi e i tedeschi a sviluppare una politica interventista sulla politica industriale, questa è stata la risposta: incaricando un commissario francese o tedesco con un mandato specifico di Parigi e Berlino. Inizialmente Macron aveva scelto l’ex ministra della difesa Sylvie Goulard, ma la sua candidatura è stata clamorosamente respinta dalla commissione giudicante. Per l’Eliseo è stato un affronto politico, è la prima volta che un commissario in pectore francese viene respinto dal Parlamento europeo.

Tuttavia, per la Francia a essere importante era il pacchetto di competenze destinate al suo commissario, che in questo caso include: mercato unico, politiche industriali, Information Tecnology (IT) e industria della difesa. Macron quindi ha rilanciato mandando a Bruxelles Thierry Breton, professore di IT, matematica e uomo d’affari con una vasta esperienza (CEO di Thomson, France Télécom e Atos) e ministro delle finanze durante il governo di Jacques Chirac. Breton ha già curato personalmente numerosi progetti industriali franco-tedeschi, ed è un esperto di big-data e cyber-security. Inoltre, già conosce personalmente Von der Leyen. Le sue credenziali professionali inattaccabili però sollevano questioni di conflitto di interessi: Breton sarà responsabile degli investimenti europei nel campo dei super-computer, una specialità della Atos, l’unica azienda europea leader del settore di cui è stato presidente e CEO fino a poche settimane prima della nomina.

I confini del libero mercato e della concorrenza sono cambiati man mano che il mondo è diventato più globalizzato e digitalizzato rispetto al 1997, anno in cui furono adottate le attuali regole di antitrust. La politica di concorrenza degli Stati Uniti è diventata meno vigorosa, consentendo ai giganti digitali di prosperare, mentre in Cina le società fortemente sovvenzionate distorcono il mercato e presentano questioni di sicurezza. Non si tratta quindi solo della rigidità delle regole di mercato, riguarda anche il potere geopolitico di non essere dipendenti da potenze straniere nei settori strategici come la gestione dei dati (personali e commerciali), le telecomunicazioni e le grandi infrastrutture.

Parigi vuole una revisione delle vecchie regole a fronte di due nuove realtà adiacenti agli interessi dell’UE, e la Germania è d’accordo. L’anno scorso uno studio del ministero delle finanze francese ha suggerito che i casi di concorrenza non dovrebbero essere decisi esclusivamente dalla Direzione Generale della Concorrenza (DG-COMP), ma dovrebbero includere consultazioni con altre DG della Commissione europea, per esempio quella dell’ambiente. Lo studio suggerisce di tenere conto delle informazioni su come i paesi in esame — su tutti la Cina — si sono comportati in altri mercati, e di avere un comitato di supervisione dedicato esclusivamente ai mercati digitali, per individuare acquisizioni killer e portare avanti controlli ex post dopo una fusione.

L’orizzonte temporale per l’adozione delle nuove regole è di due o tre anni. Per l’Italia può essere un’occasione importante per rivitalizzare alcuni settori industriali all’interno di un ecosistema relativamente protetto, ma per farlo c’è bisogno delle competenze per elaborare e mettere in pratica un’accurata strategia politica ed economica. Non riuscirci significa perdere ulteriori quote di mercato e peso politico all’interno dell’Unione europea. Il primo passo è stato fatto, Roma ha ricevuto il permesso di investire 570 milioni di euro (su 3,2 miliardi totali) in aiuti di Stato per sviluppare il settore delle batterie per auto elettriche, inserendo le aziende italiane in un consorzio di 17 imprese di sette Stati membri. L’obiettivo è colmare il gap tecnologico in un settore che vede l’UE molti passi indietro rispetto ai concorrenti statunitensi e asiatici.

Articolo per il Centro Studi di Geopolitica — 27 gennaio 2020

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